Premetto di essere un uomo cisgenere bisessuale e autistico, quindi mi scuso in anticipo se il commento seguente denotasse dell'androcentrismo.
La mia personalissima impressione è che fare le pulci e stracciare le vesti a chi non si dimostra persona progressista perfetta, nell'editoria e non solo, sia figlia di due dinamiche che al padronato patriarcale e capitalista fanno estremamente comodo:
- spingere l'attivismo via dall'azione tangibile sul territorio e restringerlo il più possibile alla divulgazione sui social network, che ovviamente appartengono alle elite e forzano la gente a giocare secondo le regole delle elite.
- spingere nella dinamica succitata soprattutto le attiviste donne, per impedire loro di sviluppare una riflessione e una pratica femminista solide confrontandosi con altre attiviste donne (e con eventuali attivisti uomini che non abbiano tuttora la cacca nel cervello), con il risultato di inficiare i loro sforzi grazie alla sopravvivenza di dinamiche sociali patriarcali introiettate – tipo la maldicenza reciproca e compiacente da comari di villaggio.
Mia personalissima conclusione: abbiamo tanto bisogno di ricominciare a "toccare l'erba" da un lato, e dall'altro lato di fuggire dall'internet delle corporazioni.
Di certo quello che riscontro nel mio piccolo stagno è un effetto ascrivibile a più cause. Personalmente non voglio demonizzare l’attivismo da social network, pur riconoscendone i limiti: è solo una delle tante modalità attraverso cui prosegue il discorso femminista e intersezionale (non faccio riferimento tanto alla sfera delle interazioni pubbliche, quanto alle occasioni di dibattito che si sviluppano in direct).
Senti anche io però il bisogno di tornare a una pratica dell’attivismo, che concretizzi la spinta etica. Anche a me sembra che spesso discussioni interminabili su questioni irrilevanti spostino il fulcro dal centro del problema.
Premetto di essere un uomo cisgenere bisessuale e autistico, quindi mi scuso in anticipo se il commento seguente denotasse dell'androcentrismo.
La mia personalissima impressione è che fare le pulci e stracciare le vesti a chi non si dimostra persona progressista perfetta, nell'editoria e non solo, sia figlia di due dinamiche che al padronato patriarcale e capitalista fanno estremamente comodo:
- spingere l'attivismo via dall'azione tangibile sul territorio e restringerlo il più possibile alla divulgazione sui social network, che ovviamente appartengono alle elite e forzano la gente a giocare secondo le regole delle elite.
- spingere nella dinamica succitata soprattutto le attiviste donne, per impedire loro di sviluppare una riflessione e una pratica femminista solide confrontandosi con altre attiviste donne (e con eventuali attivisti uomini che non abbiano tuttora la cacca nel cervello), con il risultato di inficiare i loro sforzi grazie alla sopravvivenza di dinamiche sociali patriarcali introiettate – tipo la maldicenza reciproca e compiacente da comari di villaggio.
Mia personalissima conclusione: abbiamo tanto bisogno di ricominciare a "toccare l'erba" da un lato, e dall'altro lato di fuggire dall'internet delle corporazioni.
Di certo quello che riscontro nel mio piccolo stagno è un effetto ascrivibile a più cause. Personalmente non voglio demonizzare l’attivismo da social network, pur riconoscendone i limiti: è solo una delle tante modalità attraverso cui prosegue il discorso femminista e intersezionale (non faccio riferimento tanto alla sfera delle interazioni pubbliche, quanto alle occasioni di dibattito che si sviluppano in direct).
Senti anche io però il bisogno di tornare a una pratica dell’attivismo, che concretizzi la spinta etica. Anche a me sembra che spesso discussioni interminabili su questioni irrilevanti spostino il fulcro dal centro del problema.