Disclaimer: questo articolo fa riferimento alla situazione di chi scrive fantastico in Italia. Altre nicchie potrebbero passarsela diversamente… ma non ci spero troppo.
La scorsa settimana si è tenuta a Milano la cerimonia di premiazione del Trofeo Arcimago, un premio dedicato a romanzi inediti di genere fantasy organizzato dall’agenzia di servizi editoriali Rotte Narrative. Il premio ha riscosso un discreto successo di partecipazione, e ne ho sentito parlare da chi vi ha partecipato (in veste di autorə o giuratə) come di un’esperienza in massima parte positiva: sui suoi effetti avremo modo di confrontarci nei prossimi mesi (o anni, considerando i tempi di pubblicazione).
La giornata di premiazione in sé, tuttavia, ha portato a maturazione alcune considerazioni su cui rimuginavo da parecchio tempo, e che potrei riassumere in una frase: pubblicare un libro sta diventando una possibilità per pochi.

Se c’è una cosa che l’ampio dispiegamento di forze messo in campo da Rotte Narrative per il Trofeo e la scelta della posizione dell’evento (a pochi passi dal Duomo, in una delle città più costose del pianeta) hanno messo ben in chiaro, è che il fantasy è una cosa alla moda. Qualcosa che non sta troppo male se un po’ patinata, e soprattutto, qualcosa che può generare introiti.
Lo ammetto, faceva un po’ effetto sentir dire al signor Gambarini, seduto su un palco in un teatro di Via Hoepli, che a fare lo scrittore non ci si guadagna. È la verità, ma qualcuno ci sta guadagnando di sicuro.
La scrittura è stata per secoli un’attività elitaria. Si poteva permettere di scrivere chi aveva altre entrate, o persone di servizio che si occupassero del mantenimento del stile di vita, chi era ricco di famiglia. Gli uomini bianchi eterosessuali, anche quelli poveri in canna, avevano più possibilità di vedere il proprio talento riconosciuto rispetto a donne o persone appartenenti a categorie marginalizzate (oltre al fatto che potevano accedere ad ambienti culturali da cui altrə erano esclusi, partecipando alla vita intellettuale o semplicemente potendo studiare più a lungo). Una delle nostre conquiste più recenti è stata l’allentarsi delle barriere di genere ed etnia, che hanno permesso a nuove voci di affacciarsi sulla scena e raccontare le proprie storie.
Una barriera che non è mai caduta, ma anzi, sembra rafforzarsi di giorno in giorno, è invece quella di classe.
Ovvero: se hai pochi soldi da investire nel tuo progetto di scrittura, faticherai a trovare un editore disposto a pubblicare il tuo lavoro.
Scrivere sta tornando a essere un lusso per pochi. Senza scomodare l’ancora esistente (crescente, stando ai dati post-pandemia) divario occupazionale tra uomini e donne, o a chi spetti il lavoro di cura (che va a sommarsi al lavoro che paga le bollette, erodendo il tempo per scrivere), limitiamoci a qualche considerazione pratica.
Unə autorə che oggi voglia scrivere un romanzo fantasy, dovrebbe per prima cosa imparare un po’ il mestiere. Potrebbe farlo da autodidatta, acquistando dei manuali; oppure decidere di iscriversi a una scuola di scrittura, o a qualche corso specifico. I manuali si sa, possono essere un po’ sterili. Scuole e corsi hanno l’innegabile vantaggio di fare rete con chi già frequenta il settore, e chissà, magari far arrivare il romanzo proprio nelle mani giuste. Il prezzo di un corso varia dai 500 ai 2000€.
Che il corso serva a mettere le basi per la scrittura, o ad approfondire un aspetto specifico, una volta che il libro sarà scritto bisognerà prendere una decisione. Spedirlo subito, o farlo prima revisionare da qualche esperto? Non è un mistero che, in case editrici sempre oberate di nuove proposte, un testo già rifinito abbia più possibilità di un dattiloscritto grezzo. Perciò chi scrive si affida a un editor e/o a un correttore di bozze, naturalmente pagando di tasca propria. Più è lungo il testo, più il servizio costa: e si sa, i romanzi fantasy tendono a essere lunghi.
Una volta che il testo è nella sua forma migliore, che si fa? La scelta dell’autopubblicazione potrebbe sembrare la più economica, ma significa che lə autorə deve sobbarcarsi interamente anche i costi per la copertina, sponsorizzazioni, fiere, merchandising… qualsiasi cosa possa agevolare l’ingresso del romanzo nel mondo, e idealmente farlo spiccare in mezzo alle centinaia di altri libri che vengono pubblicati in Italia ogni giorno.
Se il sogno è pubblicare con un grande editore, o magari trovarsi un agente, le spese sono appena cominciate. Tocca chiedere servizi di lettura (a pagamento), schede di valutazione più o meno approfondite… soldi, soldi, soldi.
Tanti soldi. Molto probabilmente, più soldi di quanti rientreranno mai - perchè Gambarini ha ragione, non ci si arricchisce scrivendo. E in mezzo a editori con contratti capestro, royalties non versate, clausole scritte in piccolo, è già tanto se qualche soldo arriva. Magari ci paghiamo una pizza.
Ma se il circo editoriale, nonostante i suoi acciacchi e la sua bulimia, in qualche modo va avanti, è ora di chiederci chi lo tenga insieme e in che modo.
Credo che i numeri qui sopra diano una risposta chiara: il sistema sopravvive attraverso i servizi editoriali. E non è certo un caso che chi arriva alla pubblicazione poi si ricicli come editor, correttorə di bozze, o tenga corsi a sua volta; andando a ingrossare le fila di un esercito già sovrassaturo. Un gigante dai piedi di argilla, che basa la propria esistenza esclusivamente sullo sfruttamento dellə autorə emergenti.
Di conseguenza, chi scrive è incanalato in un sistema che confonde merito e privilegio, e che strozzando il mercato accentrando le risorse e con prezzi sempre più alti si assicura che vada avanti solo chi ha le risorse per farlo. Che sia una scelta programmatica o il solito vecchio capitalismo, questa è una realtà con cui dobbiamo fare i conti, e che probabilmente sta già avendo effetti sulla nostra bibliodiversità. Quante storie stiamo perdendo, perchè chi le ha scritte non ha avuto accesso alle risorse necessarie per arrivare a farsi leggere? Quante persone sono state fuorviate da modelli di comunicazione torbidi, finendo tra le grinfie di editori a pagamento più o meno noti, perchè la paura di ritorsioni da parte dell’ambiente editoriale supera il senso di appartenenza a una categoria (quella dellə sfruttatə)?
Questo è un enorme problema etico, e sta proprio sotto i nostri occhi. È ora che pensiamo a strategie collettive per risolverlo.
Eventi
Sono ancora aperte le iscrizioni per il nostro workshop dedicato al fantasy, organizzato dall’Associazione Scrittori Friuli-Venezia Giulia a Udine (7-8 dicembre). Il corso costa 45€, e in omaggio vi danno una copia di “Anatomia del Fantasy”.
A dimostrazione che un altro modo di fare le cose è possibile; casualmente grazie a un’ente non a scopo di lucro. Traete le vostre conclusioni.
Consigli di lettura
Mese un po’ magro dal punto di vista delle letture, perchè io e Gloria siamo nel pieno della progettazione del nuovo romanzo. È un dolce impegno, ma è un impegno comunque.
Ci ha tenuto compagnia lo splendido “Sherden: La profezia dello straniero” di Melania Muscas, che è il romanzo che darei da leggere alle penne d’oltreoceano per dimostrare come si scrive un fantasy storico.
In questa storia corale ambientata nella Sardegna dell’età del ferro, seguiamo gli effetti devastanti di una profezia a distanza di duecento anni da quando è stata pronunciata: ne scaturisce una riflessione profonda sul destino, e le catene in cui possiamo imprigionarci quando cediamo la nostra capacità di giudizio. A farne le spese sono sempre i più deboli, gli emarginati; chi ha cercato di crearsi uno spazio e viene rifiutato dalla società di cui vorrebbe fare parte. Abbiamo detto spesso che uno dei punti di forza del fantastico sia la sua abilità di estrapolare un problema o una tematica e mostrarceli in modo nuovo: questo è anche il maggiore pregio del romanzo di Muscas, primo volume di una trilogia, che unisce correttezza storica a sensibilità contemporanea.
Grazie di aver letto fino a qui. Buone feste!