In questo periodo siamo stressate. Non è una novità, di certo non è un problema che si applica solo a noi, e - come ha avuto modo di farmi notare mio marito qualche giorno fa - abbiamo vissuto periodi più impegnativi di questo. È vero: nel mio vissuto personale restano imbattuti i sei mesi in cui ho ristrutturato casa abitandoci dentro, organizzato il matrimonio, lavorato full time e scritto 4 saggi. Non ho motivo di lamentarmi.
Eppure non sono mai stata tanto stanca e avvilita.
Pensandoci su, mi sono resa conto che non è il carico di lavoro, per quanto impegnativo, ad abbattermi. Il problema è che le mie consuete strategie di reazione e resistenza allo stress hanno smesso di funzionare. Non funzionano le cene al ristorante. Non funzionano le passeggiate all’ora di pranzo. Non funziona scrivere.
Visto che non sto facendo cose diverse dal solito, è ovvio che il problema è nel contesto. Mi sento come se stessi facendo la raccolta differenziata in un mondo che va a fuoco: mi sono venuti a mancare gli strumenti di comprensione del reale su cui ho sempre fatto affidamento. Ho una bellissima cassetta da elettricista, ma casa allagata.
Scrivere in queste condizioni emotive è particolarmente difficile, perché creare storie è sempre stato il mio (nostro) modo di capire le cose. Per anni traslare le inquietudini dal nostro mondo a un altro ci ha permesso di affrontarle. La forma del racconto riduce all’essenziale, nel particolare trova l’universale: ma si basa su una premessa di comunione con il pubblico. Questa possibilità di comprensione reciproca sta alla base del desiderio di farsi leggere.
In queste settimane ne stiamo dubitando; e perciò viene meno il presupposto fondamentale della comunicazione tutta: che possa esistere un terreno comune con ogni essere umano. È un dubbio tragico. Il fantasy immagina una dialettica con qualsiasi creatura, incluse quelle non antropomorfe; come facciamo a scrivere fantasy se sospettiamo che con alcuni esseri umani non possa esistere dialogo? E non per una differenza fisica, naturale - ma perchè facciamo riferimento a sistemi di valori così diversi da essere mutualmente escludenti.
Che valore ha Sauron, quando esistono persone che applaudono il video della nuova Gaza immaginata da Trump & co.? Ha ancora senso l’allegoria, a fronte di un male così spudorato? Se si possono mettere in atto genocidi, pulizie etniche e deportazioni con la sicurezza dell’impunità, che ruolo hanno le nostre storie di resistenza, di riscatto, di cambiamento?
Non ho risposte, solo domande.
Cose belle
A tenerci impegnata la testa e pieno il cuore c’è Dracones, la neonata Associazione per la scrittura fantasy italiana. La stiamo raccontando un pezzo alla volta su altri canali, non è questa la sede per descrivere la genesi del progetto e con quali ambizioni lo stiamo portando avanti.
Vogliamo dire un’altra cosa, però, che forse si collega al tema di questa newsletter un po’ triste: in Dracones stiamo facendo un esperimento di democrazia diretta. Ogni decisione viene discussa e messa ai voti, i testi che leggete nei caroselli sono rielaborati in modo collettivo - ogni contenuto porta la firma di sette persone, che vi hanno messo ciascuna le proprie competenze e il proprio tempo.
La nostra intenzione è di allargare questa esperienza: per questo siamo un’associazione e non un’impresa. L’Italia ha una lunga e florida storia di associazionismo, ma in ambito editoriale ha sempre prevalso l’individualismo. Dopo qualche mese di lavoro dietro le quinte, posso dire che è un peccato averci messo così tanto a renderci conto di che ricchezza si nasconda nel lavoro di squadra.
Anche se Dracones fallisse tutti gli obbiettivi che ci siamo preposte, siamo comunque molto più ricche di quando abbiamo cominciato.
Anche per questo mese è tutto, a rileggerci!
Sephira & Gloria